Dubbi, quesiti, riflessioni e un pizzico di ironia da parte della nostra socia Elena Lazzari:
Bisogna dare atto ai nostri governanti e ai direttori sanitari di non essersi totalmente sbagliati.
Avranno sì, avuto qualche piccola svista che è costata la vita a un sacco di anziani che non stavano già di loro per nulla bene, ma che (ma sì diciamolo, vah) se fossero stati accuditi meglio, curati meglio ed esposti meno, avrebbero potuto salutare in altro modo questa vita.
Capisco che per distrazione in Italia non ci siano le strutture sanitarie adeguate alle tasse che si pagano (parlo per me ovviamente).
Siamo d’accordo che si sia erroneamente permesso che il virus si diffondesse senza argini in ospedali e RSA (che non sono dei centri sportivi per giovani e tonici ragazzi in età da liceo, per chiarire).
Vero è che ogni giorno partono delle silurate di soldi fantasma per dipendenti e imprese. Capisco anche io che a contare tutti quei denari a uno a uno ci voglia del tempo. Ci mancherebbe.
E anche i giornalisti, è vero, nessuno di loro ha fatto il proprio lavoro, ma c’è gran caos e mica possono mettersi lì a passare le notti a districarsi nel bailamme di informazioni.
Penso anche che non sia facile rispettare tutti i diritti civili previsti nella nostra Costituzione. Sono troppi, bisognerebbe snellire un po’.
Ma non si può essere perfetti in tempo di pandemia. Prendiamone atto.
Però una cosa giusta l’hanno detta: il virus è nell’aria.
Come “love is in the air”.
Quando love era in the air, mica te lo prendevi in faccia come una sberla! Però lo sentivi, eri tutto eccitato, tutto era ricoperto da una fatata coltre avvolgente. Ogni cosa era come dipinta di rosa e gli effetti del magico avvenimento erano quasi incontrollabili: ti mettevi a ballucchiare all’improvviso o ti sorprendervi a fare risolini stupidi con lo sguardo perso verso il nulla diventato l’incarnazione stessa e ologrammatica di Love.
E tutto perché era in the air! Ecco, anche il virus è in the air. Hanno ragione porca miseria, è nell’aria.
Esci da casa e lo senti.
Guardi uno che cammina a 28 metri e tra lui e te c’è: stagna tra di voi (ma si muove anche un po’ in orizzontale).
Allora che fai? Trattieni il fiato, cerchi di respirare il meno possibile, ti guardi bene anche dal lanciare un sorriso.
Vorresti solo avere uno scudo iperspaziale, ma non lo hai (li mortacci!) e ti senti impotente, fragile.
Hai quella fastidiosa sensazione che qualcosa possa entrare o uscire dalle cavità delle tue mucose o peggio ancora, dai pori della pelle. È terribile.
Con sguardo spaventato ti rivolgi al nulla. Lì dove si staglia lui: il virus, che tutto comprende e tutto tinge del macabro colore della tua debolezza.
Il tuo conto in banca (ormai raso al suolo) è stato preso d’assalto da una forza incontenibile e dici “speriamo” ogni tre per due.
Non capisci più nulla, ma non ridacchi più. Non sai neanche se puoi ballare in effetti. E dove potresti?
Metti che ti prenda un genuino momento di follia e ti parte un tip tap sul marciapiedi, quel movimento ardito sarà sanzionabile?
Qualcuno avrà rubato l’immagine di te che folle, pericolosamente folle, ti sposti a una velocità non consentita, magari oltrepassando distrattamente la sottile linea rossa dei 200 mt?
Quando love era in the air non facevi altro che aprire whatsapp per controllare se avesse dato segni della sua presenza, una piccola apparizione virtuale che diventava un raggio di sole nella tua giornata.
E così, come su un binario spazio-tempo parallelo, leggi mail e notifiche come un elaboratore dati, sperando di trovare qualcosa che ti sollevi, che ti spieghi, che ti tolga quell’attesa estenuante di sapere cosa potrai o non potrai fare (e pensare) domani.
Cerchi qualcosa che ti illumini.
Il tuo nuovo sole sono i report, le apparizioni a reti unificate, i whatsapp, fb, la virologa, la mail della consulente del lavoro. Insomma sei tutto agitato e alla disperata ricerca di un segno (va bene anche dal cielo a ‘sto punto).
E per la prima volta nella tua vita, assieme a circa 60 milioni di abitanti (-25000 circa), ti senti impotente.
Il fatto è che non puoi davvero fare nulla perché è una cosa proprio campata per l’aria, che aleggia invisibile, che penetra nella tua vita privata, nel tuo conto in banca, nel tuo diritto al lavoro e all’istruzione, alla cura, ai tuoi movimenti.
E cosa puoi fare contro l’aria e quel che vi circola?
Peccato solo che di Love se ne parli, veda, senta sempre meno e di virus e paura ormai sia pregna l’atmosfera.
Allego una piccola ricerca su internet fatta dalla mia cara amica Marta Zen, anche lei non-virologa, non-primo ministro, non-scienziata.
“Sono – mi scrive – dati di un vecchio censimento ufficiale, dati vecchi, pre-covid, imparziali per forza. In base alle statistiche elaborate da Agenas (su dati del Ministero della Salute), nel 2007 il numero delle Rsa era pari a 2.475, dotate di 152.745 posti letto, con un numero di utenti pari a 220.720 di cui circa il 34% concentrati nella sola Lombardia.
Il 34% dei vecchi in casa di riposo sono in Lombardia. Il 34% di tutta Italia. In Piemonte saranno il 20%.
Poi mettici l’inquinamento e le gli inverni freddi. Voilà. Ho fatto 1+2.
Ah il mio metodo di indagine: un dubbio e circa dieci minuti su internet“.
Ad oggi torna la domanda che da quarantacinque giorni ci attanaglia: ma i giornalisti che cosa fanno?
Per carità, senza pretendere che siano i distratti responsabili del danno (quelli che hanno preso qualche granchio) a chieder venia e trovare soluzioni giuste per tutti (grandi, vecchi e soprattutto bambini!), ma loro, i giornalisti, che cavolo stanno facendo?
Per esempio, prima di prendere le distanze da tutto il non-mainstream (vedi Sole24h del 17/4/2020 ), non vorrebbero almeno mirare ad avere finalmente un po’ di gloria, se proprio non sono tagliati ad indagare sulla verità?
Su cosa stiano facendo invece giudici, avvocati e giuristi non si può domandare. I tribunali sono chiusi, guarda caso, e gli studi legali pure. Ma al governo abbiamo un esimio rappresentante della categoria. E speriamo che non sbagli anche lui nell’interpretare quello splendido testo che è la nostra Costituzione. Perché come con l’inno nazionale anche qui, già dall’incipit, mi scontro con evidenti incongruenze.