Il ricordo di Massimo Gramellini, tratto dalla pubblicazione “Cinquant’anni insieme” in occasione del cinquantenario del Circolo della Stampa Sporting.
Lo Sporting mi rimanda inesorabilmente al ricordo di mio padre. Aveva scoperto il tennis solo dopo i quarant’anni, come diversivo alla scomparsa precoce di mia madre. Vi aveva buttato dentro tutta la passione ossessiva di cui noi maschi siamo capaci. Lo Sporting era diventata la sua seconda casa e i compagni di gioco erano i suoi confidenti. Il circolo fu il testimone di una violenta storia d’amore fra lui e la racchetta. Le lezioni con i maestri. Le prime partite con gli amici. I progressi lenti e continui, ogni volta salutati da un soprassalto d’orgoglio che nemmeno un mio 8 a scuola avrebbe potuto suscitare. Diceva sempre: “Per essere un vecchietto, tuo padre se la cava ancora”, e dentro ci leggevi l’orgoglio una sfida vinta con se stesso.
Nel giro di pochi anni il morbo dello Sporting lo aveva completamente plasmato. La sua vita sociale fluttuava fra la terra rossa, l’armadietto e il bar. Gli venne il famigerato “gomito del tennista” e si sottopose a cure dolorosissime pur di poter restare aggrappato al suo giocattolo. Ma quando cedette un menisco non ci fu più nulla da fare. Ricordo bemissimoil giorno in cui morì. Fu quando, proprio allo Sporting, un medico amico gli disse a basa voce che non avrebbe mai più potuto giocare.
Divenne un’altra persona. Ogni tanto andava ancora al circolo per le partite degli amici, ma soffriva troppo. Allora si chiuse in casa, a guardare il tennis alla tv. Lo sorprendevo a mimare i colpi davanti allo schermo. Gli proposero di darsi al golf, ma era troppo vecchio per innamorarsi di nuovo. E poi il golf allo Sporting non c’era.
Se ne andò poco tempo dopo. Ancora oggi, quando vedo una persona anziana sui divani del circolo, chiudo gli occhi e immagino che sia lui. Gli dico:”Oggi hai servito bene, papà”. La risposta è sempre la stessa: “Per essere un vecchietto tuo padre se la cava ancora”.