“Temo che molte persone non abbiano ancora capito che questa è una guerra e che in guerra si sta a casa! – ha dichiarato più il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio -. Ho visto troppa gente a passeggio in queste ultime ore. Ne va della salute di tutti e ogni leggerezza vanifica gli sforzi enormi che tutto il sistema sta facendo in una situazione che non ha precedenti. Stare a casa non è un appello, è la regola che vale per tutti”. Questa esortazione, come il recente Anniversario della Liberazione, fa tornare in mente la Seconda Guerra Mondiale: Torino finì sotto le bombe degli attacchi aerei. Le autorità organizzarono strutture di protezione e imposero rigide regole: i torinesi furono ligi agli ordini, pur con proteste ed eccezioni, che sono documentate dagli articoli qui sotto riportati. Le perdite tra la popolazione civile, secondo i dati del Comune, ammontarono a 2069 morti e 2695 feriti, leggermente diversi dalle cifre fornite dalla Croce Rossa, secondo la quale i morti furono 2199 e i feriti 2624. Furono cento i bombardamenti, soprattutto su stabilimenti e fabbriche, bersagli scelti dalla RAF dell’Aeronautica militare britannica contro il dominio nazifascista. La “guerra” odierna? E’ un paragone forzato quello con la gravissima situazione causata dal contagio del coronavirus, ma può essere un esempio la partecipazione collettiva (certamente indesiderata) che, in quegli anni, consentì di contenere il numero delle vittime. Ecco una sintesi di articoli pubblicati da La Stampa su come la città – in occasione di attacchi aerei – cercò di tutelare l’incolumità degli abitanti con ripetute e rigorose disposizioni.
“Cittadini, attenzione!” (30 ottobre 1939)
“Cittadini: attenzione! E’ stato affisso a tutte le cantonate il manifesto prefettizio riguardante l’esperimento di protezione antiaerea che sarà effettuato domani 31 ottobre. Si raccomanda vivamente, a scanso di incorrere nelle rigorose sanzioni previste, di attenersi strettamente a quanto è detto nel su accennato manifesto. In particolare, appena udito l’allarme, i pedoni dovranno sgombrare immediatamente le vie e le piazze e rifugiarsi sotto i portoni, che dovranno essere aperti, e sotto i porticati. Le persone che si troveranno in casa dovranno portarsi nei ricoveri all’uopo predisposti, sotto la responsabilità dei capi-fabbricato. Le automobili dovranno avere i fari inazzurrati, e, durante l’oscuramento totale, fermarsi a fari spenti. Di giorno dovranno pure fermarsi e togliersi dal centro delle carreggiate stradali per lasciar libero il transito ai servizi antiaerei. Le finestre, di notte, dovranno essere ermeticamente chiuse e non lasciar filtrare nessuna luce. Altrettanto dicasi per i negozi. Le insegne luminose dovranno in ogni caso rimanere assolutamente spente. Ciò riguarda anche le luci perenni (orologi, distributori di benzina, bilance automatiche, distributori vari, santuari e cimiteri)”.
Questi appelli furono ripetuti in continuazione, ecco, per esempio, uno di questi richiami da La Stampa del 3 agosto 1940:
“Le norme contenute nel noto bando prefettizio sono sempre in vigore. Quelle norme infatti devono costituire un preciso monito per tutti quanti. Si tengano anche presenti le disposizioni del Ministero della Guerra circa il comportamento da tenere da parte di tutti i cittadini nel caso di incursione e di azione antiaerea delle nostre batterie… Nessuno dovrà pertanto trattenersi nelle piazze, nelle strade, nei corsi, sui ballatoi ed alle finestre”. E ci furono – anche qui – proteste, lamentele per l’organizzazione, dalla manutenzione dei rifugi alla carenza di materiale. Da un articolo del 19 gennaio 1944: “Risponderemo in ultimo a quei proprietari di casa che si preoccupano “di non trovar più filtri di ricambio delle maschere antigas per i loro portinai e capifabbricato, che essi possono rivolgerai all’U.N.P.A. (Unione Nazionale Protezione Antiaerea), la quale saprà sempre come e dove indirizzarli”.